L’infarto del miocardio è una patologia del muscolo del cuore che non riceve più il dovuto apporto di sangue ossigenato e di conseguenza perde vitalità. Ogni anno in Italia quasi 140mila persone, la maggior parte delle quali sono uomini, vengono colpite da infarto: di questi casi un terzo risulta mortale.
L’infarto è un attacco di cuore non va confuso con l’arresto cardiaco. L’interruzione del flusso sanguigno (ischemia cardiaca) al tessuto cellulare cardiaco può essere causato dalla occlusione parziale o totale di un’arteria, o dalla rottura dell’arteria stessa, conseguenze queste ultime dell’aterosclerosi, ossia la formazione di placche sulle pareti interne delle arterie coronariche, dove si depositano sostanze lipidiche. Con il passare del tempo, per effetto del grasso, sulla superficie della placca si creano delle lesioni, che a loro volta determinano la formazione di un coagulo di sangue. Il coagulo, detto anche trombo, aumenta di dimensioni e può impedire in parte o totalmente al sangue di attraversare il canale arterioso e raggiungere quella parte del muscolo cardiaco alimentato e ossigenato dalla arteria stessa. In assenza di ossigeno, il tessuto muore, formando una cicatrice.
Il disturbo si manifesta con determinati sintomi: primo fra tutti un dolore intenso al centro del petto che dura 30-40 minuti e si può ripresentare a fasi alterne. Le fitte possono estendersi a spalla, braccio, schiena, stomaco e arrivare a toccare alcune parti del viso, in particolare denti e mandibola. Al dolore toracico, a seconda delle situazioni, si associano altre forme sintomatiche come difficoltà respiratoria, sudorazione, mancanza di fiato, nausea e vomito. Non mancano casi in cui l’infarto porta a vertigini e svenimento, soprattutto in pazienti donne. Alcune persone, al contrario, durante l’attacco di cuore non avvertono alcun sintomo o quanto meno manifestano segnali difficilmente riconoscibili e riconducibile alla patologia.
L’infarto si può verificare in qualsiasi momento, mentre si è a riposo oppure in movimento. In seguito ad una forte emozione, oppure dopo uno sforzo fisico. Il fattore tempo è molto importante perché intervenire entro un’ora dalla comparsa dei primi sintomi può aiutare una persona colpita da infarto a salvarsi.
La diagnosi dell’infarto miocardico avviene con l’anamnesi del paziente e la conseguente analisi dei sintomi. Nella fase diagnostica ci si avvale inoltre dell’elettrocardiogramma, un esame finalizzato a monitorare l’attività elettrica prodotta dal cuore al fine di valutare la regolarità del ritmo e la presenza di aritmie, (extrasistoli). Si eseguono anche alcuni esami specifici di laboratorio che vanno a rintracciare la presenza di alcuni biomarcatori cardiaci, ossia molecole rilasciate dall’organismo quando il cuore non funziona correttamente. Sono analisi diagnostiche molto importanti, specie in assenza di significativi sintomi di infarto. In associazione agli esami tradizionali possono essere eseguiti anche risonanza magnetica, angiografia delle coronarie, ecocardiogramma, test di stress, e radiografia al torace.
Per trattare l’infarto del miocardio si ricorre a intervento chirurgico o a terapie farmacologiche: entrambe le metodiche sono finalizzate a disostruire la arteria coronarica bloccata e ripristinare l’afflusso di sangue adeguato per alimentare il cuore. L’angioplastica è la tecnica a cui si ricorre più frequentemente e consiste in una procedura invasiva, che si esegue attraverso vie di accesso periferiche e dilata dall’interno la placca arteriosclerotica permettendo di posizionare degli stent cioè delle retine che servono a mantenere l’arteria aperta e quindi al sangue di defluire normalmente come prima che si formasse la placca.
Un altro intervento di solito eseguito per ripristinare le funzioni del cuore danneggiato da un infarto è il bypass coronarico consiste nel collegare l’aorta, con la coronarica ostruita in parte o completamente, mediante altri condotti arteriosi e venosi (mediante prelievo della vena grande safena autologa dalla gamba). I condotti arteriosi hanno una maggiore durata nel tempo e rappresentano la prima scelta nell’approccio alla rivascolarizzazione miocardica.
Esistono infine fattori di rischio per l’infarto del miocardio, quali età, sesso, familiarità, diabete, fumo, ipertensione, stress e consumo di sostanze stupefacenti. Data la gravità del disturbo, che colpisce maggiormente gli uomini e, in subordine, le donne post-menopausa, è bene sottoporsi a esami cardiovascolari dopo i 40 anni.
In caso di anomalie o sintomi sospetti è consigliabile ricorrere al 118 per attivare al più presto il soccorso e trattare il paziente già nelle prime ore dell’evento acuto. Condurre l’infartuato con mezzi propri in un pronto soccorso può ritardare il trattamento medico, con conseguenze anche gravi.
GVM Care & Research