Nelle prime settimane successive ad un
infarto del miocardio l’incidenza di complicanze è sensibilmente più elevata che nelle fasi seguenti. In questo arco di tempo, circa il 50% dei pazienti manifesta la comparsa di una
insufficienza mitralica che si associa a un deficit significativo della funzione di pompa del ventricolo sinistro, da cui dipende un difetto di chiusura della valvola mitralica. La patologia che ne deriva è definita
insufficienza mitralica secondaria.
L’insufficienza mitralica secondaria è attualmente molto
frequente: si registra nel 20 per cento dei pazienti che hanno un infarto inferiore – quando cioè si occlude l’arteria coronaria destra - e nel quasi 13 per cento dei pazienti che hanno un infarto anteriore (occlusione del ramo discendente dell’arteria coronaria sinistra). Di conseguenza alla malattia ischemica (infarto) si verifica una
disfunzione ventricolare, per cui il ventricolo si deforma così come le strutture valvolari, principalmente l’anulus e i muscoli papillari. Questa distorsione altera e condiziona la mobilità dei lembi valvolari mitralici e ne impedisce la normale chiusura sistolica.
Due sono gli scenari clinici più comuni: vi sono casi , pur con una iniziale
insufficienza mitralica, che hanno un decorso favorevole e controllabile con la terapia medica. Altri casi invece hanno un decorso più complicato con severo aggravamento della prognosi e per la quale si impone la necessità di un intervento chirurgico.
I
sintomi della insufficienza mitralica secondaria non compaiono fino a quando il ventricolo sinistro non si scompensa. Pertanto in molti casi possono passare anche anni senza che il paziente si accorga di nulla. Quando invece la patologia si manifesta, i sintomi sono diversi: per lo più
facile affaticamento e ridotta capacità di sforzo, in conseguenza della riduzione della portata cardiaca. E’ sufficiente per il cardiologo o il cardiochirurgo eseguire un
ecocardiogramma per riscontrare il difetto di chiusura della valvola e la disfunzione del ventricolo sinistro.
Attualmente in base ai nuovi sviluppi della cardiochirurgia, è raccomandato il trattamento di
rivascolarizzazione, quindi l’intervento di by pass, per la malattia ischemica abbinato al trattamento della
valvulopatia. Sulle tecniche da applicare per l’
insufficienza mitralica secondaria la ricerca è in fermento, sia per la riparazione che per la sostituzione della valvola mitralica con un approccio mininvasivo e transcatetere. L’intervento riparativo resta quello preferito perché assicura una migliore preservazione della funzione ventricolare. Al fine di rendere più efficace e affidabile la chirurgia riparativa della valvola mitrale sono attualmente allo studio anelli protesici di nuovo disegno, tecniche riparative sottovalvolari e innovativi dispositivi antirimodellamento.