L’infarto si verifica perché le arterie coronarie, che portano il sangue al muscolo cardiaco, si restringono o si occludono. Il by-pass aorto-coronarico serve quindi a portare il sangue nei territori cardiaci che ne ricevono poco a causa delle ostruzioni coronariche.
Fondamentale per diagnosticare le stenosi coronariche è la coronarografia, un breve esame che ha un rischio bassissimo e un’utilità enorme. I by-pass aorto-coronarici vengono eseguiti con condotti arteriosi (arteria mammaria interna destra e/o sinistra, arteria radiale destra e/o sinistra, arteria gastro-epiploica) e venosi (mediante prelievo della vena grande safena autologa dalla gamba). I condotti arteriosi hanno una maggiore durata nel tempo e rappresentano la prima scelta nell’approccio alla rivascolarizzazione miocardica. Nella maggior parte dei Centri di Cardiochirurgia si sceglie di utilizzare quanto più possibile condotti arteriosi (rivascolarizzazione miocardica totalmente arteriosa) per garantire ai pazienti by-pass che durino più a lungo possibile.
La rivascolarizzazione miocardica è un intervento che può essere eseguito in circolazione extracorporea (CEC) con cuore fermo o (grazie alle innovazioni tecnologiche sviluppate negli ultimi anni) hanno permesso di evitare, a cuore battente (chirurgia “off pump”). Le innovazioni in chirurgia cardiaca hanno aperto anche nuove strade per quanto concerne la progressiva riduzione dell’invasività dell’approccio chirurgico (minitoracotomia). Il bypass aorto-coronarico rappresenta, complessivamente, un intervento sicuro: il rischio operatorio è, nella maggior parte dei casi, inferiore al 2%. I rischi connessi alla patologia coronarica non trattata sono invece, sicuramente, molto più alti. Il paziente una volta operato ritorna alla normale vita quotidiana dopo pochi giorni di degenza e una settimana di riabilitazione.
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