Sindrome di Brugada, è il defibrillatore cardiaco l’unica soluzione salvavita efficace
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Sindrome di Brugada, è il defibrillatore cardiaco l’unica soluzione salvavita efficace

“Il cuore e le tromboembolie” è il titolo del convegno di Cardiologia in programma, sabato 31 ottobre, a Città di Lecce Hospital, struttura sanitaria accreditata con il Servizio Sanitario Nazionale di GVM Care & Research. Nel corso delle tre sessioni - presiedute dal Dottor Giuseppe Speziale e coordinate dal Dottor Giacinto Pettinati - moderatori e partecipanti contribuiranno a definire il focus sullo sviluppo dei nuovi protocolli antitrombotici, tra cui l’impiego dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) sempre più diffusi nell’uso clinico comune. L’appuntamento pugliese si propone di fornire puntuali aggiornamenti e approfondimenti tematici riguardanti le tromboembolie, grazie all’interscambio di esperienze ed opinioni frutto del lavoro dei tanti specialisti invitati

Il simposio annovera, tra i numerosi aspetti d’eccellenza offerti dalle autorevoli relazioni in calendario, un ulteriore spunto di riflessione e dibattito con la lectio magistralis del Professor Pedro Brugadanominato nuovo Direttore Scientifico del Dipartimento di Aritmologia del Gruppo, incentrata sulla Sindrome che prende nome dall’illustre cardiologo spagnolo. L’intervento del Professor Brugada verrà introdotto dal Dottor Saverio IacopinoResponsabile del Dipartimento di Aritmologia GVM.

La Sindrome di Brugada, malattia del cuore che provoca un’alterazione del ritmo cardiaco causando - nei soggetti colpiti – palpitazioni, sincope (svenimento), aritmie ventricolari e, nei casi più gravi, il vero e proprio arresto cardiaco, venne illustrata alla comunità medica internazionale come nuova patologia nel 1992. Da allora ha suscitato grande interesse per l’elevata incidenza in molte parti del mondo coinvolgendo in particolare il sesso maschile durante la terza e quarta decade.

E’ associata – spiega il Professor Pedro Brugada – ad un rischio relativamente alto di morte improvvisa nei giovani e, occasionalmente, in bambini e neonati. Negli ultimi anni la malattia è stata oggetto di un’evidente proliferazione di pubblicazioni e studi volti a definire gli aspetti clinici, cellulari e molecolariLa Sindrome - dice - ha una base genetica: finora correlata solo alle mutazioni del gene SCN5A (cromosoma 3), responsabile della sintesi di proteine anomale che impediscono il passaggio degli ioni sodio indispensabili alla trasmissione degli impulsi elettrici per la contrazione del cuore. All’esame elettrocardiografico (ECG) è caratterizzata dasopraslivellamento di tipo 1 (coved type) del tratto ST nelle derivazioni precordiali destre”.

La malattia è difficilmente individuabile, in quanto spesso silente. “La Sindrome - aggiunge il Professor Brugada - può essere però smascherata da diversi stati patofisiologici (ad esempio un attacco febbrile) e alcuni farmaci: inclusi i bloccanti dei canali del sodio, i vagotonici, gli antidepressivi triciclici, gli antimalarici,  così come da intossicazioni da cocaina e propranololo. L’età media al momento della diagnosi iniziale o morte improvvisa è 40 anni: il più giovane appena 2 giorni, il più anziano 84. I pazienti affetti dalla patologia dovrebbero dunque modificare il proprio stile di vita, facendo particolare attenzione nell’evitare medicinali che possono aumentare l’azione sui canali del sodio. Va inoltre rammentato che se alcuni soggetti rimangono asintomatici lungo tutto l’arco della loro esistenza, vi è chi (pur in presenza di un cuore morfologicamente sano) è deceduto improvvisamente nel giro di poche settimane dalla scoperta della malattia. Da un decennio in qua gli sforzi si sono focalizzati sull’identificazione del singolo fattore di rischio o della combinazione di più fattori di rischio inerenti la morte improvvisa e, se da un lato il ruolo di alcuni è ormai ben stabilito, resiste comunque una controversia in merito ad altri”.

La terapia della Sindrome non è farmacologica. “L’impianto di un defibrillatore – conclude il Professor Brugada – rimane l’unica soluzione salvavita dimostrata. Una recente relazione del cardiologo americano Dottor Koonlawee Nademanee ha messo in evidenza i risultati entusiasmanti di una nuova procedura di ablazione (asportazione chirurgica) dell’epicardio dell’infundibolo del ventricolo destro per trattare le aritmie ventricolari. Ebbene, l’approccio citato ha l’unico scopo di ridurre, se non eliminare, l’incidenza delle tachicardie ventricolari. Tuttavia è importante sottolineare che l’ablazione non va intesa quale alternativa al defibrillatore cardiaco o come cura definitiva”.

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