Per riabilitazione cardiologica si intende un periodo di sorveglianza del paziente post
infarto, durante il quale si affronta un programma di ‘ginnastica’ e riadattamento utili a riacquisire la completa autonomia funzionale migliorando le proprie capacità fisiche. Il
Dottor Paolo Musso, specialista in
Cardiologia di
Maria Pia Hospital a Torino descive le varie fasi che accompagnano il paziente cardiologico alla piena riabilitazione.
Le malattie cardiovascolari sono in aumento?
“Le malattie cardiovascolari sono in diminuzione. Grazie al controllo dei fattori di rischio e alla terapia, sia invasiva sia farmacologica, della malattia coronarica la prognosi dei pazienti è molto migliorata, con un’ottima qualità di vita. Oggi l’infarto si combatte con maggiore serenità, attenzione e rigore rispetto a 20 anni fa”.
L’infarto è di un solo tipo?
“L’infarto non è un’entità univoca ed ha conseguenze molto diverse da paziente a paziente. Il danno permanente al cuore può essere molto limitato o molto esteso. Può verificarsi in persone con un precedente ottimale stile vita, come in soggetti che presentano un alto rischio per le malattie cardiovascolari”.
In cosa consiste la riabilitazione cardiologica?
“L’obiettivo comune per tutti i pazienti è rivedere, riconsiderare - grazie alla riabilitazione cardiologica - terapie e prognosi rimettendo in gioco l’allenamento fisico: uno degli aspetti fondamentali al controllo dei fattori di rischio”.
In che modo s’interviene?
“Nel paziente giovane, reduce da un ‘piccolo’ infarto, il focus della riabilitazione si concentrerà, considerato il buon stile di vita antecedente l’evento, sugli aspetti di tipo psicologico, sul recupero del benessere psicofisico e sul pieno reinserimento a livello sociale e lavorativo. Consentire la ripresa di una vita normale, fargli comprendere che è stato curato in modo efficace, insegnando al contempo alcuni meccanismi d’attenzione verso i già ricordati fattori di rischio.
Differente è la situazione del paziente anziano, con più patologie concomitanti, colpito da infarto molto grave. In simili condizioni, la riabilitazione cardiologica acquisisce una valenza di vero e proprio reintegro. Siamo davanti a individui che l’infarto ha reso più vulnerabili. La rieducazione motoria sorvegliata dai fisioterapisti e dal medico cardiologo dovrà, pertanto, influire sulla reale capacità funzionale, migliorandola, e modificare le abitudini errate. Nel corso della riabilitazione, specie nel periodo immediatamente successivo all’infarto, occorrerà affrontare i problemi di adattamento individuale alla terapia farmacologica. Sia che si tratti di antiaggreganti che di farmaci per il colesterolo, l’ipertensione arteriosa, lo scompenso cardiaco. Farmaci i cui dosaggi vanno personalizzati: paziente per paziente. Il caso tipico è dato dall’utilizzo dei beta-bloccanti, importanti nel post-infarto perché in grado di svolgere un’azione di rallentamento del battito nonché di ‘argine’ delle possibili aritmie, da portare alla massima dose di somministrazione tollerata”.
Come si svolge la fase preparatoria?
“Prima d’iniziare la riabilitazione fisica, il paziente viene valutato in modo da stabilire quale livello di attività dovrà seguire. Fatto questo, il fisioterapista comincerà a far svolgere alcuni, primi esercizi di respirazione, piuttosto semplici, aggiungendo, in modalità graduale, quelli a corpo libero così da monitorare la risposta della persona in termini di frequenza cardiaca e pressione arteriosa”.
Quali aspetti distinguono l’attività fisica tradizionale dalla riabilitazione cardiologica?
“Innanzitutto il contesto ambientale. Ci troviamo in spazi protetti e non in una comune palestra sotto casa. Quindi la sorveglianza dei parametri vitali a seconda del ‘carico di lavoro’ a cui è sottoposto il paziente. Siamo all’interno di un sistema sanitario pronto ad intervenire qualora si verifichi una qualunque complicanza: sia essa una ‘caduta della pressione’ o un rialzo improvviso della stessa o, ancora, la comparsa di aritmie”.
Riabilitazione con ricovero ospedaliero oppure ambulatoriale: le differenze?
“La riabilitazione con ricovero ospedaliero, dedicata a coloro che hanno subito un infarto grave, si conclude in media entro le 2 settimane. Il paziente prosegue poi nel programma concordato al proprio domicilio. Una volta dimesso, il primo controllo è a 2-3 mesi. In situazioni di stabilità del quadro clinico, la visita specialistica è ripetuta ancora 2 volte nell’arco del 1° anno e poi una volta ogni anno. La riabilitazione ambulatoriale, invece, è perlopiù rivolta a soggetti reduci da episodi meno gravi; il supporto di counseling a sfondo psicologico aiuta quanti non hanno reagito bene a quella che è una patologia potenzialmente letale. Hanno un’età media attorno ai 50 anni. E mentre prima si sentivano in ottima forma, tanto da spaccare le montagne, dopo l’attacco di cuore faticano a reinserisi nel lavoro e in famiglia: pertanto vanno sorvegliati più a lungo dal punto di vista psicologico”.
Reagiscono meglio i pazienti anziani o giovani?
“Il paziente anziano - si consenta l’espressione - si ‘adatta’ alla malattia in un modo che potremmo definire quasi naturale. Di contro, per il paziente giovane, ripeto, è più difficile ritrovare l’equilibrio psicologico: specialmente se all’improvviso si trova a dover fare i conti con una malattia che gli ricorda di non essere immortale. L’esperienza - conclude Musso - porta a confrontarmi con persone che dopo l’infarto hanno cambiato prospettiva e qualità, radicale, della vita. Lavorano di meno, ritagliano tempo per se stessi, dimagriscono, fanno sport. L’infarto ha l’effetto di una potente scossa, un campanello d’allarme che obbliga ad occuparsi della propria salute”.