Quel fiato corto e quel dolore al petto che compaiono durante uno sforzo fisico o in un momento di stress emotivo, mentre rimangono silenti durante le normali attività quotidiane. Possono essere sintomi di una
cardiopatia ischemica, cioè di una condizione che si verifica quando vi è un insufficiente apporto di sangue e quindi ossigeno al cuore.
Il
dott. Vinicio Fiorani, Responsabile dell’Unità Operativa di Cardiochirurgia del
Salus Hospital di
Reggio Emilia, spiega come si manifesta la patologia e come viene trattata all’interno della struttura ospedaliera reggiana.
Dottor Fiorani, cosa si intende per cardiopatia ischemica?
La
cardiopatia ischemica include tutte le condizioni in cui si verifica un insufficiente apporto di sangue, e conseguentemente di ossigeno, al cuore. L'attività del cuore è caratterizzata da un equilibrio tra il fabbisogno di ossigeno, trasportato dal sangue attraverso le arterie coronarie, e il flusso di sanguigno.
In determinate condizioni si può verificare un’alterazione di questo equilibrio, causata da una riduzione, permanente o transitoria, dell’apporto di ossigeno, che può a sua volta danneggiare il muscolo cardiaco compromettendone la funzionalità. In Italia, Il 33% delle morti dovute a malattie cardiovascolari
1, che restano la prima causa di decesso, sono causate da
cardiopatia ischemica.
Quali sono le cause e i sintomi principali?
La causa più frequente è
l'aterosclerosi, una patologia caratterizzata dalla presenza di placche, costituite da ateroma (grasso, tessuto fibrotico e calcio), che si formano all’interno delle arterie coronarie, le quali vanno a ostruire ridurre il flusso di sangue. L’occlusione improvvisa può condurre
all'infarto miocardico, con un elevato rischio di arresto circolatorio e decesso.
Quando il fabbisogno di sangue al cuore non è soddisfatto compare
l’angina, il sintomo caratteristico di questa patologia, caratterizzato da un senso di oppressione al petto, che può essere irradiato anche al braccio sinistro. In alcuni casi una placca può rompersi e dare origine alla formazione di un trombo, cioè un coagulo di sangue, che comporta la completa occlusione della coronaria portando
all’infarto.
I fattori di rischio da tenere in considerazione sono molteplici e vanno
dall’alto livello di colesterolo nel sangue alla presenza di
diabete,
obesità,
ipertensione arteriosa e fumo di sigarette.
Come si arriva a una diagnosi?
L’occlusione delle arterie può essere scoperta attraverso il
test ergometrico (prova da sforzo), monitorando il paziente con elettrocardiogramma o ecocardiogramma. Nel caso in cui questo test risulti positivo, o comunque non sia in grado di fornire una risposta certa, la verifica di ostruzioni viene effettuata attraverso la
coronarografia, un esame che, attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto nelle coronarie, consente la visualizzazione e la valutazione delle ostruzioni dovute alle placche.
Quali sono i trattamenti più indicati per la cura?
La cura di questa patologia consiste nel far arrivare la quantità adeguata di sangue a valle delle stenosi e ciò può essere fatto principalmente in due modi, con l’angioplastica coronarica o con l’intervento di bypass.
L’angioplastica consiste nella dilatazione dell’arteria coronarica che si è ristretta, e non permette più il regolare flusso del sangue, attraverso l’inserimento di un palloncino e l’installazione di uno stent, una piccola rete metallica, il quale ha il compito di mantenere l’arteria allargata, così da consentire al sangue di arrivare regolarmente in tutte le parti del cuore.
Quando l’angioplastica non è possibile, diventa necessario eseguire l’intervento di bypass aorto-coronarico. Il
bypass aorto-coronarico, o
CABG (
cabbage), è l’intervento chirurgico più eseguito in cardiochirurgia, in quanto legato alla grande diffusione delle coronaropatie, tra cui appunto la
cardiopatia ischemica.
Come suggerisce il termine inglese "bypass", si tratta di un intervento in cui si “supera” la stenosi, mediante l’utilizzazione di un condotto venoso e/o arterioso, con conseguente ri-perfusione del vaso a valle. Il chirurgo rimuove una sezione di un vaso sanguigno sano dalla gamba, dal torace o dal braccio dl paziente, che viene quindi collegato all'arteria coronaria appena a monte del punto interessato dall'ostruzione.
Si crea così un percorso alternativo attraverso il sangue potrà fluire evitando, “by-passando”, il tratto ostruito dell'arteria e raggiungere il cuore.
L’intervento può essere eseguito in
due modi: con l’utilizzo della
circolazione extracorporea - con la macchina cuore-polmone - o senza di essa, cioè a
cuore battente (off-pump). La decisione di come eseguire l’intervento è presa dal chirurgo, in base a diversi fattori tra cui il numero di bypass da eseguire, il grado di stenosi e la loro localizzazione, la funzione del cuore e la presenza di altre patologie e controindicazioni a fermare il cuore o all’utilizzo della circolazione extracorporea.
Al
Salus Hospital abbiamo un’importante casistica di
bypass aorto-coronarico mini-invasivo a cuore battente, quindi senza dover arrestare il cuore e senza l’utilizzo della circolazione extracorporea, eseguito con una piccola incisione intercostale piuttosto che con una sternotomia mediana. Questo rende la metodica
meno invasiva per il paziente rispetto all’intervento tradizionale di rivascolarizzazione miocardica, che prevede una incisione di 20 cm al livello sternale con frattura e separazione dello sterno. In genere, il bypass coronarico mini invasivo viene previsto per soggetti che non sono in condizioni di sottoporsi a un intervento tradizionale di bypass coronarico perché il loro cuore è troppo debole o non possono assumere anticoagulanti. Questo tipo di intervento consente inoltre una riduzione nei tempi di degenza ospedaliera e una ripresa rapida di tutte le attività giornaliere e, non meno importante, c’è una netta differenza estetica, per le dimensioni e la sede della ferita chirurgica.
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