TAVI Transfemorale e TAVI Transapicale: differenze e come scegliere il giusto approccio
Interventi chirurgici

TAVI Transfemorale e TAVI Transapicale: differenze e come scegliere il giusto approccio

I progressi tecnologici degli ultimi anni offrono all’Heart Team soluzioni sempre più mininvasive per l’impianto di una valvola aortica trans-catetere.

La procedura mininvasiva TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation) consente l’impianto di una valvola aortica trans-catetere in caso di stenosi valvolare aortica severa, ed è indicata per pazienti che non possono essere candidati all’intervento tradizionale a cuore aperto, per esempio per il rischio di complicanze post-operatorie, e comunque per età superiore ai 75 anni. Tra le modalità di accesso troviamo la TAVI Transapicale, che prevede una piccola incisione sul torace, e la TAVI Transfemorale, con l’introduzione di cateteri per il rilascio del device nell’arteria femorale. Negli ultimi anni, inoltre, è stato sviluppato l’utilizzo di altri accessi con ridotta invasività: quello Transascellare e quello Trans-succlavio.

Abbiamo chiesto al Dott. Gaetano Contegiacomo, specialista in Cardiologia Interventistica e responsabile dell’Unità di Emodinamica di Anthea Hospital, le differenze tra gli accessi e come viene scelto l’approccio ottimale.

TAVI Transapicale e TAVI Transfemorale: le differenze

Tutti gli interventi TAVI vengono eseguiti in sala ibrida, che permette operazioni di chirurgia cardiaca, vascolare e di emodinamica interventistica anche a elevata complessità, grazie alla co-presenza di strumentazione di diagnostica radiologica e della tecnologia di cui è dotata una sala operatoria di cardiochirurgia classica. A svolgerli l’Heart Team, una “squadra del cuore” formata da diversi specialisti, come il cardiochirurgo, l’emodinamista, l’elettrofisiologo, che lavorano insieme per offrire al paziente un percorso altamente personalizzato e il più adatto possibile alle sue esigenze.

L’accesso Transapicale, di pertinenza quasi esclusivamente cardiochirurgica, è meno invasivo dell’intervento tradizionale, ma prevede comunque un’anestesia generale (a cuore battente, ma senza l’utilizzo di circolazione extracorporea), e un’incisione del torace di 4-5 centimetri, praticata a livello dello spazio intercostale. L’intervento dura in media 2 ore e la degenza post TAVI circa 5 giorni, con una permanenza in osservazione nel reparto di terapia intensiva di 24-48 ore.

Nel caso dell’accesso Transfemorale, come in quello Transascellare e quello Trans-succlavio, la figura dell’emodinamista è cooperativa e svolge un ruolo indispensabile, in quanto gestisce anche gli accessi, oltre che le angiografie. L’intervento prevede un’anestesia locale e che la protesi biologica venga inserita e rilasciata tramite l’introduzione di cateteri nell’arteria femorale (o ascellare o succlavia). Dura circa un’ora e la degenza post TAVI prevede un ricovero di circa 3 giorni, con terapia intensiva di 12-24 ore.

TAVI: come scegliere l’accesso più adatto

Negli ultimi anni l’utilizzo della TAVI Transapicale si è notevolmente ridotto, e potrebbe essere stimato a meno del 5% circa del totale degli interventi di impianto di valvola aortica trans-catetere.

La procedura Transapicale, infatti, viene preferita solo nei casi in cui non sia percorribile l’accesso Transfemorale, come in passato, ma anche quello Transascellare o quello Trans-succlavio, che hanno in comune con l’accesso femorale la minore invasività (intervento percutaneo, anestesia locale, tempi ridotti di intervento e di ricovero).

Diversi i motivi principali della riduzione del ricorso alla TAVI Transapicale in favore di quella Trasfemorale (oltre che Transascellare e Trans-succlavia), nonostante in letteratura la mortalità a 30 giorni tra i due gruppi sia sostanzialmente sovrapponibile.

Primo tra tutti la possibilità di utilizzare anche altri accessi mininvasivi, come quello Transascellare e quello Trans-succlavio, se quello Transfemorale non è percorribile.

Negli anni, poi, i device in commercio hanno acquisito dimensioni sempre più ridotte. Se in passato erano necessari per i cateteri accessi da 6-7 millimetri, oggi bastano 5 millimetri per introdurre la protesi biologica, facilmente individuabili anche in pazienti polivasculopatici. Inoltre, le tecnologie avanzate mettono a disposizione diverse soluzioni, come gli shockwave, palloni a ultrasuoni che frantumano, dove presenti, le placche aterosclerotiche e rendono gli accessi praticabili.

Infine, l’anestesia generale in questo tipo di interventi è stata progressivamente abbandonata, quando possibile. Tutto in favore di un approccio sempre più mininvasivo.

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