Malattie cardiovascolari e obesità: correlazione e rischi
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Malattie cardiovascolari e obesità: correlazione e rischi

L’obesità è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una vera e propria “pandemia”: 650 milioni di adulti nel mondo, secondo i dati 2021 dell’OMS, ne sono affetti.

Questa patologia rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica: nel mondo prevalentemente negli Stati Uniti, seguiti da Messico, Nuova Zelanda e Australia. In Europa si stima che il 59% degli adulti e quasi 1 bambino su 3 sia in sovrappeso o con obesità, mentre in Italia il problema riguarda più di 10 milioni di persone.
 
L’obesità si associa a una riduzione dell’aspettativa di vita media di cica 7-8 anni e, in particolare, questa è dovuta principalmente alle malattie cardiovascolari (e, quando insorta in età giovanile, causa una riduzione di anni vissuti in assenza di patologie cardiovascolari).
 
Ne abbiamo parlato con il dott. Simone Ventra, responsabile della Cardiologia di D’Amore Hospital, a Taranto.
 

Obesità e rischio cardiovascolare

 
L’obesità si correla a un aumentato rischio di diverse problematiche, tra cui ipertensione arteriosa, sindrome metabolica, insulino-resistenza, diabete mellito di tipo 2, dislipidemia, e rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare.
 
Nel dettaglio, vi è un aumento esponenziale del rischio di eventi cardiaci avversi maggiori a partire da valori di indice di massa corporea (BMI) superiore a 27 (quando il sovrappeso è determinato da un BMI tra 24,9 e 29,9 e l’obesità di I grado da un valore tra 30 e 34,9).
 

Il tessuto adiposo

 
L’obesità, e in particolare l’obesità viscerale (con grasso depositato nella cavità addominale e negli organi interni), conferisce un rischio cardiovascolare maggiore rispetto all’accumulo di tessuto adiposo a livello periferico o sottocutaneo.
 
Avere una circonferenza vita maggiore di 102 cm nell’uomo e di 88 nella donna rappresenta un fattore di rischio indipendente per malattie cardiovascolari. Il tessuto adiposo, infatti, non rappresenta semplicemente un organo di deposito del grasso, ma un vero e proprio organo endocrino capace di secernere ormoni che aumentano il rischio cardiovascolare.
 
Nell’uomo, il tessuto adiposo si distribuisce principalmente in depositi sottocutanei e viscerali. A livello viscerale sono principalmente localizzati a livello addominale (mesenterico e omentale) e a livello toracico (mediastino, pericardio/epicardio).
 
La ridotta capacità del tessuto adiposo sottocutaneo di accumulare i trigliceridi in eccesso porta a un aumento di accumulo di tessuto adiposo a livello viscerale e a livello di sedi ectopiche, ovvero all’interno di tessuti “non adiposi”, che di per sé non sono predisposti ad accumulare grasso in eccesso, come il muscolo scheletrico, il fegato, il cuore, il pancreas. Il deposito di lipidi in eccesso in queste sedi ectopiche è associato un rischio più elevato.
 

Obesità e fibrillazione atriale

 
L’obesità rappresenta un fattore di rischio indipendente per insorgenza e progressione di fibrillazione atriale, oltre che per la progressione da fibrillazione parossistica (con durata inferiore alle 48 ore) a fibrillazione persistente.
 
I pazienti obesi vanno incontro a una maggiore probabilità di recidiva di fibrillazione atriale dopo trattamenti come cardioversione elettrica esterna (CVE) e/o l’ablazione, oltre ad avere un maggior rischio di complicanze trombo-emboliche.
 

Trattamenti e strategie per la riduzione del rischio cardiovascolare

 
Riducendo di circa il 10% il peso corporeo aumenta la probabilità di circa 6-7 volte della persistenza del ritmo sinusale, mentre diminuendo di 5 Kg il peso corporeo si riduce del 10-12% il rischio di fibrillazione atriale. Con un peso inferiore del 10-15%, poi, si agisce sugli esiti cardiovascolari andando a ridurre la mortalità.
 
L’obesità, che fino a qualche tempo fa era considerata un fattore di rischio sul quale - oltre che con la strategia dietetica e l’attività fisica - poco si poteva fare, può attualmente considerarsi un fattore di rischio “trattabile”, grazie alla ricerca scientifica che ha individuato nuove classi di farmaci che si sono rivelate molto efficaci sulla perdita di peso.
 
Tra queste la semaglutide che, in particolar modo nello studio “Select” (Semaglutide and Cardiovascular Outcomes in Obesity without Diabetes, pubblicato nel 2023 sul New England Journal Medicin), ha dimostrato associare all’importante calo ponderale anche una significativa riduzione del rischio di andare incontro a morte cardiovascolare, infarto e ictus non fatale.
 
Associando, quindi, a un sano stile di vita, che deve essere alla base di ogni trattamento terapeutico, un adeguato supporto farmacologico, è possibile oggi lavorare sulla riduzione di peso in pazienti affetti da sovrappeso patologico e obesità, per migliorare lo stato di salute e ridurre il rischio cardiovascolare.
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