Il cuore e la sua struttura
La circolazione sanguigna è gestita proprio dal cuore, un organo muscolare con una caratteristica assolutamente unica: si tratta infatti di un muscolo striato, appartenente a una tipologia che in tutto il resto dell’organismo si muove per volontà del cervello, e che in questo caso, al contrario, può muoversi in autonomia e su base involontaria. È così che il battito cardiaco può assicurare il continuo e regolare flusso del sangue. Tale attività è garantita dalla generazione di impulsi elettrici da parte di alcune cellule presenti nel muscolo, ossia il miocardio: esso è infatti costituito da fibre muscolari e miocardiociti, le cellule da cui origina lo stimolo nervoso necessario al battito.
Da un punto di vista anatomico, il cuore è suddiviso al suo interno dal setto interatriale e dal setto interventricolare, determinando così una parte alta e una bassa, così come una destra e una sinistra. Le 4 camere che ne derivano sono atrio destro (dove giunge il sangue venoso e non ossigenato) e ventricolo destro (che spinge quello stesso sangue in direzione dei polmoni); atrio sinistro (dove arriva il sangue ossigenato dai polmoni) e ventricolo sinistro (a cui giunge il sangue ossigenato, che da qui viene pompato verso tutto il resto dell’organismo).
Alla base del cuore si trova il plesso cardiaco, un sistema di nervi connesso al nervo vago: questo, che fa parte dei dodici nervi cranici, innerva il nodo seno-atriale, fra vena cava superiore e atrio destro, e il nodo atrioventricolare. Il nodo seno-atriale ha una sua importanza in questo complesso processo, poiché da lì le cellule pacemaker inviano segnali elettrici al muscolo cardiaco con un ritmo costante, causandone la contrazione (sistole) e il rilassamento (diastole): durante la prima, il cuore espelle sangue; durante la seconda, si riempie di sangue.
Aritmia cardiaca: cos’è
Dalla precedente descrizione della struttura cardiaca e del suo ruolo nella corretta ossigenazione del corpo, è facile intuire quanto il battito cardiaco influisca nella dinamica. È altrettanto facile comprendere come un battito aritmico potrebbe essere collegato a disturbi specifici ed eventuali conseguenze negative sulla salute dell’organismo. Ma quali sono i livelli standard del battito cardiaco? In media, la frequenza cardiaca dovrebbe essere compresa tra 60 e 100 battiti per minuto (bpm).
Dunque, che cos’è l’aritmia cardiaca? È l’alterazione del battito del cuore, che risulta irregolare oppure troppo lento o troppo veloce. Dal momento che diverse tipologie possono manifestarsi, è più corretto ancora parlare di aritmie cardiache.
Tipi di aritmie
Le aritmie si possono individuare tenendo in considerazione l’accelerazione o la diminuzione della frequenza e la irregolarità del battito cardiaco.
Principalmente, le più note sono:
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Tachicardia: il termine greco tachýs significa “veloce”, mentre kardía è il cuore. Ecco perché si parla di tachicardia quando in un paziente adulto la frequenza cardiaca supera i 100 battiti al minuto a riposo e il battito si mantiene regolare. Vi sono addirittura casi limite in cui le pulsazioni raggiungono un numero di 400 al minuto, ma si tratta di un aumento graduale e non improvviso.
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Bradicardia, l’esatto opposto della tachicardia, come si evince dal nome: il greco bradýs si traduce con “lento”. In questo caso, la frequenza cardiaca risulta inferiore a 60 battiti al minuto sempre a riposo. Ci troviamo in presenza di una bradicardia lieve quando la frequenza cardiaca è compresa fra 50 e 59 bpm, moderata se i valori si attestano fra 40 e 49 bpm, grave quando la frequenza va al di sotto dei 40 bpm. Sebbene non sia scontato che una bradicardia grave corrisponda a un segnale d’allarme patologico, soprattutto nel caso di sportivi professionisti, è comunque necessario verificarne le cause.
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Extrasistole, ossia l’alterazione del regolare battito cardiaco, in assoluto la più frequente. Il paziente percepisce una sorta di “battito aggiunto” (che è poi il significato letterale del termine).
Quando l’alterazione riguarda sia la frequenza, sia la regolarità del battito cardiaco, la classificazione si fa più specifica.
Tachiaritmia
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Tachicardie sopraventricolari: da rientro nodale, da rientro atrio-ventricolare e atriale. Esse hanno origine dagli atri o dalla giunzione atrio-ventricolare. La più frequente è la forma parossistica, ossia con inizio e termine improvvisi dopo molto tempo di stabilità. Spesso la tachicardia parossistica è causata dalla sindrome di Wolff-Parkinson-White.
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Tachicardia ventricolare, che interessa soprattutto i pazienti cardiopatici: i ventricoli del cuore si contraggono troppo rapidamente e senza coordinarsi con gli atri, portando a un minore nutrimento del cuore ed eventualmente evolvendosi nella pericolosa fibrillazione ventricolare (come nel caso della sindrome di Brugada).
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Fibrillazione atriale, la più comune nella popolazione e soprattutto in età avanzata. Le cavità atriali non si contraggono nel modo corretto, impattando sulla funzionalità dei ventricoli e dando luogo a una serie prolungata di extrasistoli.
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Flutter atriale, spesso presente insieme alla fibrillazione, che comporta un’attivazione degli atri ad alta frequenza.
Bradiaritmia
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Sindrome del nodo del seno, che implica una disfunzione nella genesi dell’impulso.
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Blocco atrio-ventricolare: può manifestarsi un’interruzione parziale o totale della trasmissione dell’impulso elettrico nel nodo atrio-ventricolare o nel sistema di conduzione intraventricolare.
Una tipologia specifica di aritmia è quella sinusale fisiologica o respiratoria: è una variazione naturale della frequenza cardiaca, dovuta al ciclo della respirazione. La fase di inspirazione, caratterizzata dal movimento del diaframma e dall’espansione del torace, comporta la riduzione della pressione intra-toracica e conseguentemente della pressione atriale. Verso il cuore ritorna così una maggiore quantità di sangue e si inibisce l’attività del nervo: ne risulta il rialzo della frequenza cardiaca. In fase di espirazione, si verifica un rilascio del diaframma e della cavità toracica, provocando un aumento della pressione intra-toracica. Il sangue venoso non riesce a ritornare verso il cuore, gli atri si espandono meno e il nervo vago subisce una sollecitazione maggiore: la frequenza cardiaca diminuisce di conseguenza. Tale tipologia di aritmia è maggiormente percepibile nei bambini o nei soggetti giovani e sportivi caratterizzati da buona salute cardiovascolare.
Aritmie cardiache: le cause
L’aritmia cardiaca può avere cause di diversissima natura, anche in base alla modifica di frequenza o regolarità del battito.
Le tachiaritmie possono essere causate da consumo eccessivo di sostanze eccitanti o stupefacenti, stati ansiosi o stati emotivi molto intensi, gravidanza o ciclo mestruale, febbre, fino a squilibri elettrolitici, malformazioni e patologie del cuore, ipertiroidismo, anemia, ecc.
Le bradiaritmie possono avere origine da assunzione di farmaci, patologie congenite nella formazione o trasmissione dell’impulso elettrico, alterazioni elettrolitiche, infiammazioni cardiache, ipotiroidismo, patologie come ipotensione arteriosa, ischemia cardiaca, anemia, ecc.
L’extrasistole, ossia il battito irregolare aggiunto, ha cause di varia natura: dallo stress al consumo di sostanze eccitanti, dalla febbre allo sforzo fisico, fino ad alcune patologie come ernia iatale, reflusso gastroesofageo, squilibri ormonali o della tiroide, ipertensione arteriosa, fino a scompenso cardiaco e infarto.
Aritmia cardiaca: sintomi
In base alla sua tipologia e al mutamento nel battito cardiaco, l’aritmia provoca sintomi variabili.
Quando la frequenza cardiaca è più bassa del normale il paziente può lamentare stanchezza e capogiri, fino ad arrivare alla sincope, ossia lo svenimento improvviso con perdita di coscienza.
Quando la frequenza cardiaca è troppo alta, è possibile percepire un senso di affanno e di debolezza improvvisa, vertigini, palpitazioni, sensazione di stordimento.
Quando il battito si fa irregolare, possono manifestarsi non solo palpitazioni, sudorazione, dispnea, ma anche il tipico senso di avere il “cuore in gola”, così come la sensazione di un “farfallio” nel petto o di percepire nettamente il battito cardiaco.
Vi sono anche casi in cui le aritmie cardiache non danno sintomi di alcun tipo e così il disturbo viene individuato soltanto grazie a una visita di routine o di prevenzione.
Quali esami si devono fare?
Il primo passo è sottoporsi a una visita cardiologica, durante la quale lo specialista raccoglie tutti i dati e le informazioni specifiche sulla storia clinica del paziente, sul suo stile di vita, sulla familiarità di determinate patologie e sui sintomi che lamenta. In seguito, il medico esegue l’esame clinico con la misurazione del polso arterioso (per acquisire informazioni sul ritmo cardiaco) e del polso venoso giugulare (per rilevare l’attività atriale). Il polso arterioso viene in genere rilevato con metodo palpatorio: il medico palpa con tre dita l’area in cui la pulsazione è percepita più intensa. In caso di polso aritmico, lo specialista può ricorrere all’auscultazione del cuore con fonendoscopio per rilevare il polso apicale.
Quando si tratta di aritmia, l’ECG (elettrocardiogramma) è l’esame fondamentale per analizzare la situazione: lo strumento consente di registrare gli impulsi elettrici cardiaci, a riposo, sotto sforzo oppure in una condizione di stress indotto farmacologicamente al fine di studiare la reazione del cuore. In alcuni contesti clinici, soprattutto quando non basta l’ECG a registrare aritmie variabili oppure occasionali, può essere utile ricorrere a un Holter cardiaco: questo esame, a cui la ricerca ha saputo dare un livello di comfort sempre più elevato, è non invasivo e permette di ottenere dati sull’attività elettrica del cuore lungo il periodo di tempo predeterminato dal medico (più frequentemente 24-48 ore). Il monitoraggio segue il paziente durante le sue regolari attività quotidiane e le reazioni del cuore vengono costantemente registrate.
Sempre preziose sono le analisi del sangue, attraverso cui è possibile ottenere dati su possibili patologie, già individuate o ancora da rilevare, oppure mettere in rilievo eventuali squilibri ioni/elettrolitici.
In situazioni specifiche, il medico può anche far sottoporre il paziente a ecocardiografia, che consente di esaminare la struttura del cuore, radiografia del torace e angiografia coronarica.
Aritmie cardiache: quando preoccuparsi
In una buona parte dei casi le aritmie cardiache non sono pericolose, ma, dal momento che le cause all’origine possono anche essere patologiche, è sempre molto importante sottoporsi a una visita specialistica e agli esami ritenuti opportuni dal medico. In particolare, se le aritmie si manifestano più volte nel tempo, andando a influire sulla qualità della vita, diventa indispensabile approfondire la situazione.
Tra le forme di aritmia grave vi sono la tachicardia ventricolare e la fibrillazione ventricolare: se l’intervento non risultasse tempestivo, queste tipologie di aritmia cardiaca potrebbero avere conseguenze anche fatali.
Aritmia cardiaca: cosa fare
Fondamentale è la diagnosi, che consente al medico di approntare il trattamento più opportuno: in base alla causa all’origine, patologica e non, è infatti possibile pianificare la terapia o al contrario scegliere di non ricorrere ad alcun intervento. Quest’ultimo è spesso il caso in presenza di tachicardia e bradicardia sinusali legate a forti emozioni o sforzo fisico, che non hanno bisogno di particolari terapie o possono essere gestite con rimedi specifici.
Nei pazienti che risultano maggiormente a rischio di fibrillazione ventricolare, e in generale nei casi in cui i metodi più conservativi non funzionassero, il medico può optare per la prescrizione di farmaci antiaritmici. Quando il disturbo si presenta stabilmente, in base alla sua tipologia è possibile optare per:
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Studio elettrofisiologico e ablazione cardiaca: gli elettrocateteri introdotti attraverso il sistema venoso raggiungono il cuore e riproducono l’aritmia cardiaca, consentendo di individuare il tessuto all’origine dell’alterazione e distruggerlo con impulsi di radiofrequenza.
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Impianto di un defibrillatore cardiaco sottopelle, nell’area sottostante la clavicola, soprattutto in caso di tachicardia ventricolare.
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Applicazione di un pacemaker, specialmente in presenza di una bradiaritmia rilevante.
Essenziale diventa l’attenzione del paziente allo stile di vita, che deve essere equilibrato e prevedere l’eliminazione di fumo e alcol.
Stessa questione è quella della
prevenzione, ove naturalmente sia possibile attuarla in assenza di patologie precise. Soprattutto quando il paziente ha sperimentato episodi di tachicardia o extrasistoli, si dovrebbero
gestire nel modo migliore possibile lo stress e l’ansia, nonché
evitare sforzi fisici eccessivi, il fumo e il
consumo di sostanze eccitanti o dimagranti. Le bradiaritmie non congenite possono essere prevenute evitando di assumere i farmaci che le originano o di mettere in atto quelle azioni che influiscono sul tono del nervo vago, rendendolo suscettibile: fra queste, lo svuotamento della vescica in piedi, la defecazione forzata e, nei pazienti maggiormente emotivi, l’esposizione alla vista del sangue (in particolare quando in piedi).