Scompenso cardiaco: come riconoscerlo e trattarlo
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Scompenso cardiaco: come riconoscerlo e trattarlo

Il corpo umano è una macchina complessa, progettata per funzionare in tutte le sue parti. Ad alimentarla è il cuore, che funge da pompa per portare ossigeno a tutto l’organismo. Con il passare degli anni, l’azione del muscolo cardiaco può diventare meno efficace. Così, quando non riesce più a pompare sangue a sufficienza, entrano in crisi anche reni, polmoni, fegato, gambe. I polmoni, ad esempio, iniziano a infettarsi e si manifestano anche delle polmoniti.

Questo stato patologico è definito scompenso cardiaco e nel mondo industrializzato colpisce molti over 70.
 
Ne parlano il Dott. Sebastiano Marra, cardiologo, e il Dott. Carlo Budano, elettrofisiologo, entrambi in forze al Maria Pia Hospital di Torino.
 

Dottor Marra, quali sono le cause dello scompenso cardiaco e quanto è diffusa la patologia?

La prima causa di scompenso cardiaco è l’età. All’inizio secolo scorso l’aspettativa di vita media era 40-50 anni circa: difficilmente a quell’età si arrivava allo scompenso cardiaco.
Oggi nel mondo industrializzato ci aspettiamo di vivere almeno fino ad 80 anni: l’invecchiamento della popolazione spiega anche l’aumento dell’incidenza di questa patologia.
 
Ogni anno ci sono circa 180.000 ricoveri per scompenso cardiaco, proprio perché la popolazione è sempre più anziana. Vuol dire anche che si tratta di pazienti fragili, alle prese con una patologia complessa. Infatti per trattare lo scompenso cardiaco non si tratta solo il cuore, ma anche tutte le altre problematiche che possono scaturire dall’insufficienza di pompa: infezioni, deficit di funzione renale ecc.
 
Dobbiamo anche considerare che il paziente che ha questa patologia è allettato o comunque è fermo, perché non ce la fa a camminare, respirare, fare sforzi. Si trova quindi in uno stato di fragilità che richiede assistenza.

C’è un campanello di allarme riconoscibile?

Il primo campanello di allarme dovrebbe attivarsi quando si percepisce di avere ridotta capacità fisica rispetto a pochi mesi o settimane prima. Bisogna fare caso anche a sintomi lievi, come ad esempio provare affanno quando si fanno le scale, giardinaggio, pulizie domestiche. In quel caso, è meglio approfondire subito: la prima cosa da fare è rivolgersi al proprio medico.

Infatti se si arriva dal medico di base o dal cardiologo quando già si accusa una dispnea (difficoltà respiratoria) a riposo, significa che c’è già uno scompenso importante, che potrebbe innescare ulteriori effetti, in primis le infezioni dei polmoni.

Dott. Budano, che cosa fa l’elettrofisiologo?

L’elettrofisiologo come un ”elettricista del cuore”. Come abbiamo detto, il cuore che batte normalmente ha una funzione di pompa per tutto l’organismo. Con lo scompenso cardiaco il cuore non ha forza di contrarsi e mandare in circolo il sangue con la giusta potenza. L’elettrofisiologia interviene con l’impianto di dispositivi elettrici nel cuore, per prevenire la morte improvvisa oppure per risincronizzare la meccanica cardiaca.
In questo secondo caso, ad esempio, si impianta un device a destra ed uno a sinistra e questi prendono il sopravvento sull’impianto elettrico naturale del cuore, stimolando le contrazioni e il rilascio.
 
Non solo: negli anni ‘60 si è anche cominciato a lavorare a dispositivi che possono aiutare non solo nella cura, ma anche nella diagnosi dello scompenso cardiaco. Oggi abbiamo a disposizione dei sistemi di microchip sottocutanei che permettono il monitoraggio anche da remoto di ritmo, frequenza, pressione ecc.

Come vengono impiantati i devices?

Si utilizzano degli interventi chirurgici che sono definiti mininvasivi, perché il tutto viene fatto attraverso un piccolo taglio di 3 o 4 centimetri, nella zona sottoclaveare a livello della spalla. Di lì, grazie alla guida radiologica, vengono fatti avanzare dei cateteri che portano i devices fino al cuore.

L’obiettivo è di risolvere lo scompenso cardiaco a partire dalle sue cause. In casi estremi, invece, è necessario procedere al trapianto cardiaco, quando il soggetto ha le caratteristiche per sostenere quel tipo di intervento.

Dott. Marra, quando si arriva al trapianto di cuore?

Il trapianto di cuore è la soluzione che si pratica quando non è possibile intervenire altrimenti.
Lo scompenso cardiaco dà una serie di episodi nella storia cardiologica di un individuo, fatti di scompensi e recuperi soprattutto in età avanzata.

Gli episodi possono essere lievi o severi. In alcuni casi, la terapia farmacologica può risolvere lo scompenso; in altri casi può essere necessaria una terapia intensiva; successivamente, si può intervenire chirurgicamente per riparare la valvola mitralica con delle clip, poiché la degenerazione di questa valvola è presente nelle fasi più avanzate dello scompenso.
Quando tutte queste tecniche non sono sufficienti o idonee, si ricorre al trapianto di cuore. Tutto ciò serve a fare in modo che il paziente possa vivere a lungo, ma anche con una buona qualità della vita.

Si può fare prevenzione per lo scompenso cardiaco?

La prevenzione dello scompenso cardiaco si fa prevenendo le patologie che lo generano.
Per esempio, in Piemonte l’ipertensione arteriosa incide al 60% negli over 70 ed è uno dei fattori di rischio per lo scompenso cardiaco. Se si identifica la patologia e la si cura in anticipo, si riduce il rischio di avere in futuro lo scompenso cardiaco.

In generale, sono importanti gli stili di vita: evitare il sovrappeso, camminare, misurare periodicamente la pressione e avere attenzione anche verso i sintomi non gravi. In questo modo è possibile prevenire la degenerazione precoce e allungare i tempi di vita funzionale della pompa cardiaca.

Dott. Budano, com'è la qualità della vita di una persona operata al cuore oggi?

Racconto il caso di un paziente che ho seguito in modo continuativo, dopo un ricovero in medicina. Grazie all'applicazione di un device cardiaco, oggi ha 87 anni e non deve più sottoporsi a lunghe degenze. Infatti facciamo piccoli ritocchi elettrofisiologici con visite semestrali ambulatoriali.

Evitare ricoveri continui e degenze lunghe è un bene per l’individuo ma anche per il Servizio Sanitario Nazionale, in termini di risparmio economico e di risorse.
 
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