Protesi valvolare meccanica: la terapia anticoagulante a basso dosaggio nei pazienti giovani
Notizie da GVM

Protesi valvolare meccanica: la terapia anticoagulante a basso dosaggio nei pazienti giovani

Il Dott. Giuseppe Santarpino, recentemente nominato responsabile dell’U.O. di Cardiochirurgia di Città di Lecce Hospital insieme al Dott. Luigi Specchia, ha presentato sabato 21 maggio 2022 al Congresso Nazionale ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri) uno studio sulla terapia anticoagulante a basso dosaggio nei pazienti giovani con protesi valvolare meccanica.

Questi risultati aprono uno scenario interessante all’interno del dibattito sulla protesi valvolare cardiaca ideale da impiantare nei pazienti giovani”, spiega il Dott. Santarpino. “Cardiochirurgo e paziente hanno una nuova opzione a disposizione, per una medicina sempre più personalizzata, con approccio ritagliato sul paziente”.

Lo studio

La relazione presentata si basa sull’analisi di dati estratti dal registro SURE-AVR (Sorin Universal REgistry on Aortic Valve Replacement), che riguardano pazienti operati al cuore con protesi valvolari in oltre 70 centri cardiochirurgici di tutto il mondo. Sono stati presi in considerazione circa cento pazienti giovani, tra i 40 e i 60 anni, in cui, a un anno di distanza dall’intervento, si è rilevata una elevata efficacia e sicurezza delle protesi meccaniche con l’utilizzo di una terapia anticoagulante a basso dosaggio.

L’impianto di protesi valvolare meccanica, infatti, necessita di una terapia anticoagulante orale continua ben equilibrata, che comporta per il paziente da una parte un rischio di emorragie, dall’altro la possibilità di trombosi della valvola. Il paziente, inoltre, proprio per tenere sotto controllo i livelli di coagulazione del sangue, deve effettuare analisi del sangue regolarmente. Per questi fattori, i pazienti si trovano spesso - in fase di discussione con lo specialista - a preferire una valvola biologica (su cui inevitabilmente, però, è necessario intervenire a distanza di 10/15 anni dall’impianto per una naturale degenerazione) rispetto a una valvola meccanica che risolve la problematica a vita.

In confronto ai dosaggi di anticoagulanti utilizzati fino a oggi per la protesi valvolare meccanica, la terapia anticoagulante a basso dosaggio studiata ha dimostrato essere ugualmente efficace, in quanto non sono stati registrati pazienti con coaguli o disfunzioni della protesi, e contemporaneamente comunque sicura, perché nessun paziente, anche a distanza di tempo, ha registrato problemi di natura emorragica.

La pratica

Il dosaggio ridotto dell’anticoagulante è già messo in pratica presso le strutture ospedaliere in cui vengono utilizzate protesi che hanno ottenuto il riconoscimento da parte degli enti regolatori dell’Unione europea per l’utilizzo di dosi minori di terapia farmacologica.

Il prossimo passo del gruppo di ricerca internazionale è studiare come i pazienti possano effettuare il monitoraggio dell’anticoagulante in autonomia, per esempio con un “pungidito”, come nei diabetici che misurano la glicemia. I pazienti dovrebbero poter conoscere con un apparecchio a casa e una goccia di sangue il dosaggio dell’anticoagulante, con il notevole vantaggio di non doversi recare presso il laboratorio analisi.

Protesi valvolare meccanica o biologica?

La necessità di protesi valvolare cardiaca si presenta solitamente in caso di:
  • patologie di natura congenita (per esempio valvola aortica bicuspide);
  • malattie di tipo degenerativo con stenosi;
  • patologie post-infettive (come valvulopatie di natura reumatica, soprattutto legate a infezioni delle tonsille in età pediatrica);
  • malattie di tipo infettivo (con batteri o germi che crescono sulla valvola).
Le attuali linee guida consigliano per pazienti giovani, tra i 40 e i 60 anni, l’utilizzo delle protesi meccaniche. I pazienti di età più avanzata invece sono candidati normalmente all’impianto di una protesi biologica, per evitare la terapia anticoagulante e per una migliore qualità della vita. La protesi biologica resta funzionale per diversi anni e, se intorno ai 90 anni del paziente è necessario intervenire, si propongono generalmente o una terapia palliativa o una terapia transcatetere per posizionare un’altra protesi biologica.

Alla luce del nuovo studio, l’impianto di una protesi meccanica, che non deve essere sostituita nel corso della vita, associata sì a una terapia anticoagulante, ma autogestita dal paziente, con quantità minime di farmaco e conseguenti rischi quasi azzerati di complicanze, rappresenta per i pazienti la possibilità di un’ottima qualità della vita dopo l’intervento cardiochirurgico. “Praticamente un trattamento completo, senza più la necessità di dover ricorrere alla cardiochirurgia in futuro”, conclude il Dott. Santarpino.
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