L’Heart Team, una “squadra del cuore” al servizio del paziente
Notizie da GVM

L’Heart Team, una “squadra del cuore” al servizio del paziente

L’introduzione dell’Heart Team, letteralmente “la squadra del cuore” ha rivoluzionato l’ambito della cardiochirurgia: questo approccio, che si avvale di un gruppo di professionisti con competenze diverse, permette di ritagliare su misura l’iter diagnostico e terapeutico, per costruire il percorso più adatto a ciascun paziente. 

L’Heart Team è stato adottato anche dal reparto di cardiochirurgia di Maria Cecilia Hospital di Cotignola, che da più di vent’anni rappresenta un punto di riferimento cardiochirurgico per tutta la Romagna. 

Ne parliamo con il Dott. Alberto Tripodi che, presso Maria Cecilia Hospital, si occupa di cardiochirurgia dell’adulto, in particolare di cardiochirurgia mininvasiva, di interventi riparativi della valvola mitrale, di sostituzione valvolare aortica e di interventi di rivascolarizzazione miocardica con tecniche mininvasive. 

Che cos’è e come funziona l’Heart Team? 

Negli ultimi dieci anni, il settore della cardiochirurgia è andato incontro a un’importante evoluzione nella gestione del paziente, che ha rivoluzionato l’approccio alle patologie cardiache. Una di queste innovazioni riguarda il cosiddetto Heart Team, un gruppo di lavoro in cui convergono figure professionali diverse: l’elettrofisiologo, il cardiologo clinico, l’emodinamista e il chirurgo. Si tratta di un momento di incontro, in cui i diversi professionisti hanno modo di confrontarsi sulle problematiche di un determinato paziente, di analizzare insieme i risultati di diversi esami clinici e di inquadrare la condizione clinica da punti di vista differenti. 

L’Heart Team rappresenta quindi una fondamentale tutela per la salute del paziente nella sua globalità, perché il contributo di professionisti diversi permette di progettare un intervento chirurgico tenendo in considerazione tutti gli aspetti clinici del paziente. 

Nuove metodiche di indagine: come stanno influenzando la diagnosi e la terapia?

Negli ultimi anni il settore cardiovascolare ha assistito a un enorme sviluppo dal punto di vista tecnologico, che ha cambiato radicalmente il modo in cui oggi affrontiamo le patologie cardiache. 

In ambito diagnostico, il cardiochirurgo è passato dal visionare immagini statiche delle diverse parti del cuore alla possibilità di osservare il cuore in movimento, durante le diverse fasi del ciclo cardiaco (dato dall’alternarsi periodico della sistole e della diastole): in altre parole, si è passati dall’analisi della morfologia del cuore e delle sue componenti all’osservazione, in tempo reale, del modo in cui queste parti interagiscono tra di loro durante la sistole e la diastole. Cambiare il modo di vedere il cuore ha migliorato la capacità del chirurgo di comprendere la patologia cardiaca e, di conseguenza, la possibilità di mettere in atto trattamenti adeguati. 

Questi esami diagnostici non invasivi comprendono l’ecocardiografia bidimensionale e tridimensionale, la TAC, l’angioTAC coronarica, la Risonanza Magnetica cardiaca (RMC) e la tomografia a emissione di positroni (PET). Tutti questi esami forniscono immagini di altissima qualità, che forniscono informazioni molto dettagliate delle alterazioni morfologiche e strutturali a livello cardiaco nelle diverse patologie. Per esempio, grazie alla TAC è possibile ricostruire la struttura del cuore in un modo che permette di “viaggiare” al suo interno, analizzando le caratteristiche degli atri, dei ventricoli e della valvole cardiache, non solo in condizioni statiche ma durante le contrazioni del ciclo cardiaco. 

Le tecniche mininvasive possono essere usate anche per gli interventi cardiochirurgici?

La diffusione di tecniche diagnostiche mininvasive ha rivoluzionato anche l’approccio terapeutico: le immagini dinamiche ottenute con le tecniche appena citate possono essere usate dal chirurgo nel corso dell’intervento chirurgico e la loro altissima qualità fornisce una mappa anatomica del cuore che permette interventi chirurgici sempre più mirati e precisi.

La disponibilità di tecniche mininvasive ha inoltre ampliato la platea di pazienti che possono accedere ad esami o interventi di cardiochirurgia: basti pensare che negli ultimi anni più del 90% degli interventi valvolari viene eseguito con tecniche mininvasive.

Oggi il cardiochirurgo si confronta generalmente con pazienti di età avanzata, con patologie pregresse e altre condizioni cliniche oltre a quella cardiaca: per questo è sempre più importante mettere a punto tecnologie poco invasive, che non richiedano tagli chirurgici e che permettano al paziente di riprendere rapidamente le proprie attività quotidiane. 

L’intervento con tecniche mininvasive lascia cicatrici di pochi centimetri, molto piccole se confrontate con quelle delle tecniche chirurgiche tradizionali: questo è un aspetto importante perché non solo riduce il trauma chirurgico, ma incide anche sulla gestione globale del paziente: un approccio mininvasivo si traduce infatti in una minore necessità di ricorrere a trasfusioni durante l’intervento, nella precoce mobilizzazione del paziente dopo l’intervento e in un follow up post-operatorio che guida il paziente alla ripresa delle sue attività nel modo più rapido e meno traumatico possibile. 
 

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Intervista Dott. Tripodi un'equipe medico chirurgica al servizio del cuore del paziente

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