La
fibrillazione atriale è una delle aritmie cardiache più frequenti e diffuse a livello mondiale, causa di aumento della mortalità, di ictus cerebrale, di insufficienza cardiaca e di ospedalizzazioni e peggioramento della qualità della vita.
La fibrillazione atriale è generalmente trattata con la tecnica di ablazione tradizionale, detta ablazione trans-catetere endocardica, tuttavia la percentuale di guarigione, ovvero il ripristino e mantenimento del ritmo normale cardiaco, soprattutto nella forma persistente è possibile solo nel 60% dei pazienti trattati.
Il
dott. Giuseppe Nasso, cardiochirurgo di
Anthea Hospital, ha recentemente messo a punto una tecnica innovativa che, con una nuova linea di ablazione in aggiunta alle precedenti, diminuisce le recidive e, quindi, la necessità di sottomettersi nuovamente ad un intervento. L’articolo riportante la nuova pratica, che vede la collaborazione del
prof. Giuseppe Speziale, è stato appena
pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Cardiac Surgery.
Dott. Nasso, come viene solitamente trattata la fibrillazione atriale?
Tipicamente la fibrillazione atriale può essere trattata con un approccio farmacologico, con cardioversione elettrica e/o mediante ablazione del focolaio aritmico.
L’approccio ablativo, eseguito dal medico elettrofisiologo tramite l’ablazione transcatetere endocardica, - quindi internamente al cuore - si riferisce a una procedura percutanea che consiste nell’i
nserire degli elettrocateteri a livello inguinale, che vengono fatti
risalire nell’area cardiaca delle vene polmonari. Questa zona è responsabile spesso dell’innesco e mantenimento della fibrillazione atriale. Il catetere ablatore rilascia energia sotto forma di radiofrequenza andando ad eliminare quelle zone – definite
foci “trigger” - che
causano l’aritmia senza tuttavia danneggiare i tessuti sani circostanti. Per intenderci è la stessa energia utilizzata dal forno a microonde: scaldando il tessuto si ottiene una lesione irreversibile di natura cicatriziale.
Con questa tecnica ablativa tradizionale tuttavia la percentuale di guarigione, ovvero il ripristino e mantenimento del ritmo normale, è possibile solo nel 60% dei pazienti trattati.
In cosa consiste la sua nuova tecnica?
Alcune evidenze scientifiche hanno dimostrato la
presenza di foci “trigger” responsabili della fibrillazione atriale anche sul versante esterno del cuore, l’epicardio, ed al di fuori della zona delle quattro vene polmonari:. Pertanto abbiamo integrato la tecnica tradizionale di ablazione endocardica percutanea con quella epicardica chirurgica con approccio mininvasivo. Nel nostro studio, abbiamo inoltre identificato
nuovi foci “trigger” nel Fascio di Bachmann ed abbiamo ideato questa nuova linea di ablazione che va dall’auricola destra sino all’auricola sinistra con la finalità di disconnettere elettricamente proprio il suddetto fascio.
Il Fascio di Bachmann è una struttura cardiaca non ben definita anatomicamente, ma ben chiara dal punto di visto elettrico, localizzata lungo tutto il decorso cardiaco che va dall’auricola destra all’auricola sinistra e che decorre sul tetto dell’atrio sinistro accanto e dietro l’aorta,
Tale struttura
trasmette l’impulso elettrico dall’atrio destro all’atrio sinistro permettendo la corretta contrazione del cuore, ma nei soggetti affetti da fibrillazione atriale persistente gioca purtroppo un ruolo determinante nel mantenimento dell’aritmia causando un corto-circuito elettrico.
Attraverso una piccola incisione di circa 3-4 cm a livello dell’emi-torace destro e per mezzo di una sonda all’interno del pericardio, abbiamo quindi deciso di agire anche sul Fascio di Bachmann oltre ad eseguire le classiche linee di ablazione epicardiche definite “BOX LESION” che già abbiamo eseguito su diverse centinaia di pazienti, avendo tra le casistiche più numerose in Europa.
Che risultati avete avuto raggiunto con l’utilizzo della nuova tecnica?
Con il mio Team di Anthea Hospital abbiamo
eseguito questa nuova procedura in 30 pazienti affetti da fibrillazione atriale di lunga data (long persistent) e
non abbiamo osservato complicanze chirurgiche peri-procedurali. La tecnica è risultata sicura, rapida, riproducibile e ha ridotto in maniera significativa il rischio di recidiva della fibrillazione atriale. Nel nostro studio su 30 pazienti sottoposti alla procedura, 26 (87%) a distanza di un anno non presentava fibrillazione atriale. Inoltre, utilizzando una metodica mininvasiva i tempi di recupero e il ritorno ad una normale attività quotidiana sono risultati rapidi. La nostra tecnica, inoltre, preceduta o seguita dalla tecnica ablativa tradizionale percutanea endocardica (approccio ibrido) può garantire una percentuale di successo sicuramente superiori anche al 90%.
Ci sono specifici pazienti per i quali è indicata questa tecnica?
Si, in particolare i pazienti che traggono maggior beneficio dal trattamento sono quelli con:
- fibrillazione atriale isolata e persistente (< 1 anno) che non rispondono alle massime dosi tollerate di farmaci antiaritmici;
- pazienti con almeno 1 procedura inefficace di cardioversione farmacologica o elettrica durante i 6 mesi precedenti la valutazione del chirurgo;
- i pazienti sintomatici con fibrillazione atriale long-standing (> 1 anno).
L’obiettivo è ora
continuare a utilizzare tale metodica a beneficio di un numero sempre maggiore di pazienti che, non responsivi ai trattamenti standard (cardioversione farmacologica, elettrica, ablazione percutanea), potrebbero incorrere nelle temibili complicanze della fibrillazione atriale come l’ictus ischemico altamente invalidante o la morte. Infine, l’auspicio è che la ricerca clinica non si fermi ma continui ad esplorare sempre nuove strade.