Scompenso cardiaco: una patologia che va arginata con un approccio multidisciplinare
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Scompenso cardiaco: una patologia che va arginata con un approccio multidisciplinare

Lo scompenso cardiaco è una patologia molto complessa, caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare una quantità di sangue sufficiente a soddisfare tutte le necessità dell’organismo. Nonostante il tasso di mortalità legato a questa patologia sia molto alto, mancano ancora una corretta percezione del problema da parte dei pazienti e un approccio multidisciplinare per affrontarlo in maniera completa. Abbiamo trattato l’argomento con il dott. Renato Gregorini, responsabile della Cardiochirurgia di Città di Lecce Hospital. 

Dott. Gregorini cos’è lo scompenso cardiaco e quali sono le sue cause?
Lo scompenso cardiaco è il punto evolutivo finale di qualunque tipo di malattia di cuore, anche se riconducibile a cause diverse. La cardiopatia ischemica, da sola, è responsabile di circa il 50% dei casi di scompenso cardiaco. Poi ci sono l’ipertensione, le valvulopatie, le cardiopatie congenite e le miocardiopatie dilatative. La cardiopatia ischemica e le valvulopatie rappresentano circa il 70% delle cause dello scompenso cardiaco. Una percentuale che ci fa capire quanto sia importante il ruolo del cardiochirurgo nel trattamento di questa patologia. 

È corretto dire che lo scompenso cardiaco rappresenta un problema sanitario per la sua incidenza e per il suo tasso di mortalità? 
Possiamo definire lo scompenso cardiaco come l’epidemia del nostro millennio, perché colpisce circa il 2% della popolazione totale del mondo occidentale. In Italia il numero di persone che soffrono di scompenso cardiaco è di circa 1 milione e 200 mila. La prevalenza poi cresce in maniera esorbitante dopo i 70 anni, quando diventa del 10% e la sua incidenza raggiunge quasi il 15%. Si parla quindi di percentuali preoccupanti. 
Non tutte le persone che soffrono di scompenso cardiaco manifestano sintomi. Sul totale delle persone colpite, ci saranno infatti sia i pazienti con uno scompenso cardiaco a uno stadio A, ossia lo stadio iniziale e asintomatico, e pazienti a uno stadio D, ossia lo stadio dello scompenso cardiaco refrattario. 

Quali sono i mezzi terapeutici più comunemente messi in atto in funzione del singolo paziente e della gravità della patologia? 
Ogni terapia va ritagliata sul singolo paziente e dipende dallo stadio che la malattia ha raggiunto in quel momento. Nello stadio iniziale A ad esempio è assolutamente necessario fare prevenzione, perché abbiamo davanti quei pazienti che, a causa di una valvulopatia, dell’ipertensione o della cardiopatia ischemica, non hanno ancora sviluppato lo scompenso cardiaco ma potrebbero farlo in futuro. 
Nello stadio B o C, dove il cuore ha subito delle modifiche strutturali, è opportuno invece che il paziente segua quella che noi cardiochirurghi chiamiamo una terapia medica ottimale, che prevede la somministrazione di quei farmaci cardine per il trattamento dello scompenso cardiaco, ossia betabloccanti, calcio-antagonisti, ACE - inibitori e antialdosteronici. 
Nei casi più gravi è possibile intervenire sia con la cardiochirurgia che con l’elettrofisiologia cardiaca.
Nello stadio D, dove il paziente ha uno scompenso cardiaco refrattario, è possibile intervenire con trattamenti chirurgici mirati, come il trapianto di cuore o l’assistenza ventricolare. 

I medici e i pazienti sono a conoscenza di tutti i mezzi terapeutici che possono essere adottati per il trattamento dello scompenso cardiaco? 
Nonostante lo scompenso cardiaco abbia un’epidemiologia enorme, la sua conoscenza è ancora molto bassa. Se interrogassimo i nostri pazienti vedremmo che il 50-70% sa riconoscere un ictus o un’angina pectoris, ma solo il 10% sa riconoscere lo scompenso cardiaco
Molte persone pensano che avere l’affanno quando si cammina a passo veloce sia legato all’età o allo scarso allenamento, in realtà nella maggior parte dei casi ci troviamo davanti a uno dei sintomi dello scompenso cardiaco. 

Quale potrebbe essere un messaggio per i medici di base, che rappresentano il primo approccio per il paziente con scompenso cardiaco?
È importante che i medici di medicina generale prestino molta attenzione ai sintomi che riferiscono i pazienti. Se un paziente dice di avere edemi periferici, o che è costretto a mettere due cuscini per poter dormire bene, o che di notte si sveglia all’improvviso con un affanno inspiegabile, o ancora che da qualche tempo non riesce più a fare le cose come faceva prima, è opportuno indirizzarlo verso un accertamento diagnostico ulteriore, al fine di escludere che si tratti di scompenso cardiaco. 

Qual è il ruolo della cardiochirurgia nella terapia dello scompenso cardiaco? 
Nel 50% dei casi la causa dello scompenso cardiaco è la cardiopatia ischemica e uno dei trattamenti principali di questa patologia è l’intervento di bypass aortocoronarico. Tutti i pazienti che soffrono di cardiopatia ischemica comunque devono trattarla e il trattamento potrà essere o con angioplastica e stent, o con terapia chirurgica. Quando parlo di bypass aortocoronarico mi riferisco a tutti quei pazienti che hanno una cardiopatia ischemica diffusa, come spesso accade nei pazienti diabetici.
 
La chirurgia mininvasiva comporta un minor rischio per il paziente e offre un esito migliore a distanza di tempo? 
La chirurgia mininvasiva, proprio come ogni atto chirurgico, ha le sue indicazioni e va riservata a quei pazienti per i quali rappresenta un vantaggio reale e non un rischio aggiuntivo. 

In che misura le tecniche chirurgiche riescono a garantire la salute del paziente? 
Nel trattamento dello scompenso cardiaco la prevenzione gioca un ruolo fondamentale. È importante riuscire a trattare l’ipertensione e la cardiopatia ischemica prima che il paziente abbia delle complicazioni, perché solo con la prevenzione e la terapia medica adeguata è possibile non scendere la china dello scompenso cardiaco. 

Dott. Gregorini quali sono le sue conclusioni? 
La prevenzione è l’arma più potente che abbiamo per combattere lo scompenso cardiaco. Alla prevenzione si devono poi aggiungere un approccio multidisciplinare, l’uniformità della terapia, un facile accesso ai servizi e la continuità assistenziale. 
Quello di cui c’è realmente bisogno per affrontare il problema dello scompenso cardiaco è di un approccio multidisciplinare. Un approccio che coinvolga, quasi come fossero una Task Force, cardiochirurghi, chirurghi interventisti, cardiologi clinici ed elettrofisiologi, così che sia possibile affrontare in maniera ottimale e completa tutti gli stadi di questa patologia e dare al problema una risposta che sia degna di questo nome. 
 
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